sabato 31 luglio 2021

Non tutto il male viene per nuocere

 Ho « incontrato» Bangkok per la prima volta nel 2017. Mai città mi era sembrata piú sfavillante, scintillante, modernissima, velocissima, città di vetro e grattacieli. Arrivavo dritta dagli altopiani della Papua Nuova Guinea e il confronto era stato choccante. Ero rimasta rapita. Grazie ad un amico tailandese avevo intravisto segni di un’altra Bangkok, piu lenta, tradizionale, fatta di incensi, di legno, di case basse, di catapecchie, di un passato che sembrava non volersi far relegare in un angolo, ma non avevo avuto modo di approfondire. Solo qualche giorno di permanenza. Mi era rimasta nel cuore la sensazione di una città incantata, che avrei voluto conoscere meglio.

Siamo tornati a Bangkok a maggio 2021. All’arrivo, un gruppo sparuto di passeggeri occidentali dai profili alquanto peculiari. Oltre a noi, alcuni uomini in tenuta kaki, dal possibile profilo militare, o mariti di donne tailandesi, pochi altri civili probabilmente impiegati per altre ONG ; il resto dei viaggiatori tailandesi. Nessun « turista », non la folla di vacanzieri australiani o europei in infradito e corone di fiori, pochi gli uomini d’affari. Un incontro totalemente diverso dal primo. Avvenuto attraverso una fitta rete di mascherine, vetri, passaggi obbligati dentro ad un areoporto blindato, un sistema efficientissimo di controlli che ci ha accompagnato dalla discesa dall’areo, attraverso le formalità mediche e amministrative, fino alla macchina dai vetri oscurati che ci ha portato dritti in uno hotel approvati in cui passare i 12 giorni di quarantena. Non ho neanche fatto in tempo ad annusare l’aria.

Le due settimane di quarantena sono state una tortura, per me che necessito di aria e movimento. Ma soprattutto per la mia “fame” di immergermi nella vita della citta. Uscita, ho trovato un città molto diversa dal mio ricordo. Chiuso tutto, musei, palazzi, bar, ristoranti, karaoke, centri per massaggi e sale da the. Era come se la città fosse il fantasma di se stessa, o di quella che avevo intravisto nel 2017. Era come se non ci fosse piú posto per la Bangkok di qualche anno fa. Una Bangkok in cui potevano esistere posti come un ristorante che serve solo « sea food and champagne”. Oggi naturalmente chiuso.

Peró forse questo permette ad un’altra Bangkok di emergere, piu autentica, piu antica, o forse semplicemente piu coriacea e semplice. Fatta dei « suoi » abitanti che continuano a fare quello che hanno sempre fatto: condurre una vita alla giornata, fatta di piccoli commerci, di vendita al dettaglio, di carretti del gelato che si annunciano con un campanello, di cibo da strada, perche la gente qui vive e sopravvive cosi. Forse semplicemente questa Bangkok, messa in disparte per lungo tempo, si riprende il suo spazio, il suo palcoscenico. La citta si adatta, si adatta alle restrizioni, al coprifuoco (incredibile per una città che davvero viveva 24 ore su 24), a una vita che sicuramente le sta stretta, non le si conface, ma dove c’è sempre il modo di fare emergere qualcosa di viscerale, di proprio, che nessuna pandemia riuscirà mai a fermare. Un esempio. I monaci buddisti portano la mascherina. Ma restano in strada, con le loro lunghe tuniche arancioni, ricevendo ghirlande di fiori che continuano ad essere create con maestria da vecchietti con la mascherina, e un po' di frutta che continua a crescere succulenta. Non so se tra le preghiere fatte dai devoti, oggi si sia aggiunta quella per la fine della pandemia.

Hanno chiuso i parchi, e allora per poter continuare a camminare e non chiudermi in casa, esaurita l’esplorazione delle strade del mio vicinato (pericolossime per il traffico – quello non cala- e inquinatissime), mi sono messa a camminare sempre un po' piu lontano, per scoprire angoli sempre nuovi della città. Cammino lungo i canali di questa Venezia dell’Asia, dove, come a Venezia, l’odore dell’acqua stagnante si mescola a quello del sapone da bucato dei panni messi a stendere, con in piú l’aggiunta del profumo di spezzatini di carne dalla dubbia origine e verdure al cocco.

Cammino per le strade trafficate, un rischio che mi permette di scoprire sempre nuove sfumature della città e dei suoi abitanti. Guardo le donne e gli uomini cucinare in strada, tagliare il cocco, preparare gli spiedini di pesce messi a cuocere sulla brace o friggere nell’olio caldo mentre ci sono 40 gradi e un’umidità al 80%, infilo spudorata la testa dentro le bottegucce e i magazzini. Gli odori si mescolano. L’odore del pesce affumicato si mescola a quello del sangue della carne di maiale, a quello delle crèpes calde, dei dolcetti al cocco e dei frangipane. I colori pure, il verde scintillante della vegetazione, il giallo intenso delle collane di fiori per le offerte votive, al grigio minaccioso di questo cielo da stagione delle piogge.  Mi sento un po' a casa. Mi torno a sentire « viva » perchè mi sembra di ritrovare la mia umanità dopo mesi di « telelavoro », dove mi sono sentita piu simile ad una macchina. Mi specchio finalmente negli occhi di persone come me, e non in un computer.

Forse è vero che mi sono persa la Bangkok degli « anni ruggenti ». Ma forse non è cosi male. C’è una poesia antica che forse era andata un po’ perduta e che adesso è piú visibile. Mi fermo davanti a scene che sembrano venire da altre epoche. Una signora che lava l’asfalto davanti alla porta della sua casa/tugurio con il mocho insaponato. Covate di gattini di qualche settimana che scorrazzano per le strade. Giovani in doppio petto o tailleurs d’ufficio che mentre vanno (andavano – prima delle ultime restrizioni) in ufficio si fermano ad accendere gli incensi nei tempietti dei cortili delle case, signore che danno da mangiare agli scoiattoli accompagnando il gesto con una preghiera salmodiata. La ressa davanti alle biciclette che espongono i biglietti delle lotterie.

Ho addirittura incontrato un indovino seduto in strada e pronto a leggermi le carte. Gli indovini di Terzani. Forse se lui lo sapesse, gli scapperebbe un sorriso compiaciuto.

Allora forse l’unica cosa che davvero mi dispiace è l’impressione di poter solo « assaggiare » questa città e la sua storia. Mi aggrappo a questo assaggio, aspettando le prossime portate.

 


lunedì 26 luglio 2021

1..2..3.. Il viaggio, e i racconti, riprendono

 

Ho deciso di tornare a scrivere su questo blog, che è stato per tanto tempo un amico, un’estensione di me, un contatto con casa quando a casa non ero, un modo per unire mondi geograficamente distanti, aiutandomi a ritrovarmi e ri-scoprirmi. Tornare a raccontare di viaggi, di incontri, ma soprattutto di come quei viaggi e quegli incontri arrichiscono, cambiano, fanno crescere.  Tornare a condividere tutto questo, perchè credo sempre piu fermamente che quei viaggi e quegli incontri non siano, e non debbano essere mai SOLO miei, ma possano arricchire, divertire, « far ritrovare » chi li legge con me.

Riprendo in mano la penna dopo anni in cui l’avevo messa da parte, per scelta piu o meno autoimposta, per dare priorità al lavoro « ufficiale », e forse in fondo in fondo per la convinzione che questo blog, questo scrivere fosse una cosa di poco conto, che non servisse a nessuno, che il suo esserci o non esserci non avrebbe fatto alcuna differenza, per gli altri, per me. Non posso parlare per gli altri, ma personalmente mi rendo conto che cosi ho finito per perdere una parte di me, di cui ho sentito e sento oggi una mancanza infinita.

Torno a scrivere come atto di difesa, ma anche di « responsabilità » verso me stessa. Impugno la penna come una sorta di arma personale, per citare Cirano. Riportare alla luce il mio sentire, ribadire a me stessa prima di tutto cio’ che sono, il mio modo di intendere e concepire la vita, la mia « umanita ». E lo faccio proprio in un momento in cui sembra che questa modalità, questo sentire non siano davvero possibili. Un periodo in cui il viaggiare è stato limitato a motivi di sola necessità, il cui l’incontro con altre persone, lo scambio, da occasione di arricchimento, di crescita, di vita, è diventato o viene associato a fonte di pericolo, contagio. Non c’è polemica nelle mie parole, viviamo una situazione difficile, ma il rischio è quello di perderci. Mi ero persa, voglio ritrovarmi.

Vengo da due anni in cui ogni tipo di spostamento è stato particolarmente difficile, se non impossibile.  Purtroppo, la riduzione dei viaggi « fisici » » si è portata dietro anche la riduzione di tutto cio’ che quel viaggio comportava. Ogni interazione è stata limitata al minimo, ridotta quasi solo alla dimensione virtule. Svanita l’attesa dell’incontro, la scoperta dell’altro, la ricchezza dello scambio che viene da una mano stretta, da uno sguardo condiviso, da un odore che entra nel naso.. Persa la relazione che costruisci piano piano con cio’ con cui entri in contatto, persona, oggetto, luogo, che entra nel tuo spazio vitale e finisce per cambiarti.

Questo vuoto mi ha annichilito.

Ed è proprio perchè voglio salvare queste componenti della mia vita, voglio ricordarmi a me, e magari a chi sta facendo la mia stessa fatica, che la vita è anche e soprattutto questo, ho deciso di tornare a scrivere. Un atto di rivolta contro un’abitudine che ci riduce all’inedia.

All’inizio non sarà facile. È vero, rispetto al passato, viaggio, viaggiamo tutti meno. Ed è vero che  forse una delle molle che mi ha fatto decidere di tornare a scrivermi, , è che « fisicmente » sono ripartita. Una nuova destinazione, la Tailandia, l’Asia, un mondo incredibilmente sfaccettato che si nasconde e chiede attenzione infinita per farsi scoprire. Questo forse ha aiutato a scuotermi dal torpore in cui ero finita, motivandomi. Ma non credo basti solo tornare a prendere un aereo per definire la nostra attitudine. Credo che la ridotta mobilià fisica, le frontiere chiuse, o peggio la fatica infinita che si fa per viaggiare oggi, possano diventare una pericolosa scusa per chiudere anche il cuore. Credo che abbiamo tutti rischiato questo in questi ultimi mesi/ anni. Non voglio piú questo. Dovro’ riabituare la mano, come il cuore.

Il viaggio non è mai stato per me semplicemente aggiungere una bandierina in piú su una mappa o un timbro sul passaporto. Il viaggo per me presupponeva e presuppone l’apertura, l’incontro con le persone, con e nei loro luoghi, cultura, colori, il cambiamento che quell’incontro suscita in me. Ho iniziato questo blog anche su questa premessa. Viaggi magnifici possono iniziare e svilupparsi semplicemente se decidiamo di tenere aperti occhi e cuore a quello che ci circonda, pronti a farlo entrare nelle nostre vite. L’ « esotismo » sta in tutto quello che non ci appartiene tradizionalmente, e che puo stupirci, cambiarci, arricchirci. Ho visto e vedo ancora oggi (forse anche di piú) tante persone viaggiare, e continuare a farlo restando impermeabili a tutto quello che li circonda, dietro barriere di protezione che forse aiutano, ma rendono la vita cosi piú povera.

Credo che la grande fatica di questi ultimi anni, almeno a titolo personale, sia stato il lasciare che l’abitudine, il lavoro, e poi la pandemia, mi facessero progressivamente chiudere gi occhi e il cuore alla meraviglia di quello che continua a circondarmi, ogni giorno.

La mia risposta all’ incertezza e alla tristezza di questo momento difficile è scegliere di tornare a aprirsi. Trasformare la difficoltà materiale dei viaggi attuali, i controlli centuplicati, i test, le misure di separazione, la diffidenza e la paura, non in un freno ma in una sorta di allerta che mi ricordi quanto quel « viaggio » sia prezioso e di valore, qualcosa mai scontato, qualcosa da guadagarsi perchè la ricompensa sarà grande. Qui a Bangkok siamo attualmente in lockdown, chiusi nel confort dei nostri appartamenti che possono diventare prigioni. Eppure il mio cuore è palpitante, « allerta » e aperto alla vita, come mai nell’ultimo periodo, pronto a ogni occasione di incontro e scoperta.

Per me e per chiunque vorrà accompagnarmi, ancora.