Kinshasa |
Riprendo a scrivere dopo mesi di
silenzio. Riprendo a scrivere in Repubblica Democratica del Congo (RDC), a
Kinshasa. Una specie di sogno che si avvera, sono nel posto di cui leggendo,
studiando, sognando è forse nata la voglia, la spinta per l’Africa, sono qui
dopo anni di peregrinazioni in giro per il continente e ci ritrovo molto di
quello che dell’Africa mi si è attaccato addosso in questi anni. Riprendo a
scrivere in un sabato “normale”, 30 Gennaio 2016, mentre la temperatura fuori è
di 30° e la gente si accalca nei baretti e nelle botteghe sulla strada per
assistere ai quarti di finale della Coppa d’Africa delle Nazioni, RDC contro
Rwanda, che si gioca oggi a Kigali.
No, non parlo (solo) della gente
che vive nel quartiere e nei magnifici palazzi e uffici della Gombe, il
quartiere dove sono concentrate le maggiori organizzazioni internazionali e
dove, per ragioni di sicurezza, sono invitati a vivere tutti i bianchi. Dove
vivo anch’io, con la luce elettrica e l’acqua corrente sempre a disposizione,
con i climatizzatori potenzialmente sempre accessi, dove i 30° di umidità e
zanzare se vuoi puoi non sentirli mai.
Madimba |
Dico per strada, per i viottoli dei
comuni di questa città brulicante e pulsante di 12 milioni di persone che piano
piano, senza fretta e senza voler essere spericolata o incosciente, cerco però
di conoscere e avvicinare. Una città dove la polvere calda e densa si mescola al
fango degli acquazzoni che arrivano improvvisi la mattina presto o la sera, dove
l’odore dei cumuli di spazzatura lasciati a putrefarsi all’aperto si mescola
all’aroma degli arachidi tostati. Dove è impossibile (almeno per me) non farsi contagiare
dall’allegria invadente della musica congolese lanciata a palla nelle radio di
macchine, taxi, bus e negozi. Dove l’aria viene rotta e frantumata mille volte
al secondo da risate e grida e voci mai misurate o controllate ma sempre
traboccanti vita e energia. Strade dove puoi trovare di tutto, senza la minima
logica, ragazzi che arrostiscono spiedini di capra accanto a venditori di scarpe
la maggior parte delle volte spaiate, parrucchiere a cielo aperto, che ti fanno
i capelli davanti a specchi appoggiati a cespugli e alberi, farmacie da banco
montate su tavolacci di legno e lustrascarpe che aspettano un tuo cenno di
richiesta. Dove i ragazzi ti sorridono sfrontati con i loro muscoli in bella vista
e i loro “Bonjour mundele (Buongiorno
“bianca” in lingua lingala), offrendoti un giro a poco prezzo sulle loro
pericolosissime moto taxi. Una città dove mi ritrovo intimidita da un contatto
sempre così ravvicinato, invadente, con altri corpi umani, cosi diverso dalla
distanza di sicurezza che manteniamo in Europa, e colpita da un odore
intensissimo di pelle, di sudore, di essere umano. Un odore cosi diverso dal
mio. Un odore che forse non riuscirò mai a sentire totalmente mio, come forse
non riuscirò mai a sentirmi davvero parte di questa vita e di questa comunità,
ma a cui in questi anni, piano piano, ho cercato sempre di avvicinarmi un po’di più, condividendo con tante persone diverse da me pezzetti di strada.
Giardino botanico di Kisantu |
Un posto dove soprattutto la sera,
quando torno a casa in macchina, il naso fuori dal finestrino, inalo a pieni
polmoni questa aria umida e appiccicosa che sembra risultare fastidiosa a tutti
tranne che a me, mescolata all’odore di patatine fritte e manioca. E mi lascio
cullare dal vento fresco perdendomi in questo cielo che è sempre chiaro per le mille
luci della città e per l’abbondanza di stelle. Una città, un paese dove la
natura è sfrontata, invadente, onnipresente, dove gli alberi, le palme, anche i
cespugli sono a mio vedere più grassi, alti, ricchi, dove basta un temporale di
mezz’ora e tutto spunta, germoglia, cresce, con un verde di un’intensità
sconvolgente. I tropici. Riprendo a scrivere in e di un posto nel quale ritrovo
tanto del mio passato, soprattutto della Tanzania, e nello stesso tempo mi
scopro diversa e piu ricca ogni istante. Riprendere i fili e nello stesso tempo
sentire di starne costruendo di nuovi.
Madimba |
Ingresso della Maison du sourire |
Oggi sono andata a trovare Lucia e Massimo, fuori dalla Gombe appunto, nel quartiere di Kimbanseke. Quando l’ho detto in ufficio, mi hanno guardato con un misto di stupore e diffidenza. “Cosa ci vai a fare lì?”. Lucia e Massimo in Italia hanno fondato la onlus Non basta un sorriso, per sostenere le attività che svolgono qui a Kinshasa, a favore dei bambini in situazione di disagio. A Kimbanseke hanno aperto una casa per accogliere bambini abbandonati o orfani La maison du sourire e hanno iniziato, attraverso il sistema delle adozioni a distanza, un progetto di scolarizzazione, aprendo una sezione di scuola materna e elementare per offrire ai bambini più disagiati del quartiere un’educazione di qualità e gratuita. Nessun progetto megagalattico ad alto impatto visivo o mediatico. Ma la scelta di restare nel quartiere, stare alle regole della gente del posto, provando a mostrare che i cambiamenti a volte sono i piccoli semi seminati nel silenzio e nell’umiltà. E a volte cosi si producono i cambiamenti piu sconvolgenti. Io non lo so se i sorrisi non bastano. In questi anni “africani” fatti di tante piccole scomodità quotidiane, di stanchezza rispetto a culture e modi di vivere e pensare che spesso non capisco e forse non capirò mai fino in fondo, della fatica di sentirsi straniera e mai veramente accettata, della morte che entra nella tua vita e in quella delle persone con cui lavori e vivi con molta più facilità e rassegnazione di quanto non capiti in Europa, di una scorza di cinismo che ti si attacca addosso e che un po’ intacca l’idealismo dei primi tempi, i sorrisi, gratuiti, sfacciati, a volte sconsiderati, sono la cosa che più mi è rimasta dentro e che continua a stupirmi e accompagnarmi. Quello che so è che oggi, mentre sul divano del salotto della Maison tenevo in braccio la piccola Lumi, accerchiata, quasi soffocata, dal calore denso dei corpi degli altri nove bimbi nella cappa umida della giornata, circondata dai loro sorrisi a 45 denti, non ho sentito differenza nell’odore della nostra pelle del nostro sudore.
Mentre finisco di scrivere queste
righe sento esplodere un boato fuori dalla finestra. Tranquilli, nessuna
manifestazione politica o tafferuglio elettorale. I Leopardi della RDC hanno
vinto contro il Rwanda. E in tutta la città, alla Gombe come a Kimbanseke è
doveroso festeggiare come si deve.
Vale... te lo copio? posso?
RispondiEliminabellissimo racconto Vale, mi ha fatto venire i brividi e, soprattutto nelle ultime righe, immedesimare nella mia passata esperienza in Sud Kivu.
RispondiEliminaTi abbraccio forte