Prima missione in Congo. Prima
missione in Equatore, una delle regioni piu innaccessibili e dimenticate del
paese. I miei colleghi mi hanno salutato con un misto di compassione e
sollecitudine, un po incerti di fronte al mio entusiasmo nel poter scoprire un
pezzettino in piu di questo meraviglioso paese. Per questa volta, praticamente
niente foto, nessuna macchina fotografica per fissare immagini e ricordi,mi
hanno rubato il telefono proprio qualche giorno prima di partire. Solo il
cuore, lo stomaco,le mie parole scritte su carta lungo i lunghi tragitti per
evitare che tutto vada nel dimenticatoio e cercare di lasciare qualcosa a chi
legge. Una scoperta che inizia dal finestrino del volo umanitario che da
Kinshasa si ferma nelle principali stop points della regione, Mbandaka,
Libenge, Zongo, Bangui (in Centrafrica) per arrivare fino a Gbadolite, la mia destinazione,
quella che fu la citta fortezza di Mobutu dove erano sorti hotel, une residenza
da fare invidia alle villae romane, una cappella e una cripta presidenziale,
busti di marmo finissimo e decori in oro, ora completamente in abbandono,
ultimo bastione di un Deserto dei Tartari che qui esce dalla letteratura per
farsi realtà. Sotto di me, per tutto il viaggio, solo foresta, la meravigliosa,
verdissima, imponente foresta equatoriale ed enormi limacciose distese d’acqua,
che si perdono nel fango dei fianchi scoscesi del fiume Ubangi. Tu, solo un
puntino che potrebbe sparire nel ventre di questo paesaggio. Ogni fermata è una
nuova immagine che si fissa nel cuore e nella testa. A Libenge, una pista di
atterraggio che non si vede fino a
quando non ci siamo praticamente sopra. A Zongo, passeggeri in attesa del volo che
spuntano direttamente dalla foresta, in bicicletta, moto, a piedi. Bambini che
escono dai loro “nascondigli” , a gruppetti fissandoti dal portellone aperto
dall aereo con le braccia incrociate, per poi aprirsi in grandi sorrisi sinceri
quando tu li saluti con la mano. Zongo-Bangui, il volo piu breve della storia,
10 minuti di viaggio solo per attraversare quella che in Congo chiamano “riviere”
Ubangi mentre in Centrafrica “fleuve”. Ennesima porosa frontiera africana, dove
i limiti, i confini sono una creazione della quale la natura sembra non tenere
conto. Bangui, una specie di aereoporto giocattolo dove gli “operatori
umanitari” restano tutti concentrati sui proprio telefoni satellitari, senza il
tempo e la voglia di scambiare una parola con in vicino. Gbadolite, l’arrivo
sotto un cielo che non ho mai visto cosi nero, il vento che si alza pieno di
una polvere rossa che annebbia la vista e brucia gli occhi, e poi la pioggia
scrosciante, violenta come solo le piogge equatoriali sanno essere. Il mio
benvenuto in un aereoporto pieno zeppo di militari in arrivo e partenza, altro
segnale della vicinanza ad una frontiera dove la pace è ancora da consolidare.
Ma è via strada che conosci
davvero questa regione, percorrendo le piste disastrate di un luogo che non
conosce l’asfalto. Gbadolite – Gemena e ritorno , 8 ore di pista massacrante ma
meravigliosa, uno dei viaggi in macchina piu belli che io abbia mai fatto,
malgrado siamo rimasti in panne due volte, siamo stati costretti a fare marcia
indietro una volta e i giorni di macchina siano diventati 3. Cos’ è il
paradiso? Credo che ognuno abbia la sua immagine in testa, o piu di una. Per me
questo pezzo di strada è entrato a farne parte. Paesaggi di una bellezza
sconvolgente, una natura cosi ricca, cosi possente e nello stesso tempo cosi
placida, cosi semplice e perfetta. Intorno a me solo jungla, palme, manghi
ovunque. Manghi stracarici di frutti grandi come piccoli meloni, penzolanti
fragilmente dai rami. Lunghi pali di legno appoggiati ai tronchi che i bambini
usano per fare cadere i frutti e venderli poi sul ciglio della strada. Capanne
di paglia a gruppetti di due e tre, organizzate in piccole coorti di sabbia
dalle soglie ostinatamente ben spazzate, in un sforzo impari delle donne contro
la polvere che continua a stupirmi qui in Africa. Davanti a ogni capanna, due o
tre semplici tavole di legno a formare bancarelle improvvissate dove puoi
trovare tutto quello che questa natura produce, in una sorta di mercato
itinerante che mi segue lungo tutto il viaggio, continuando ad affascinarmi
malgrado l’abitudine. Ci sono i manghi, ci sono gli enormi jaquis dalla forma
cosi strana e impressionante, palle di sapone casalingo, arachidi tostate e
attentamente impilate in file di piccoli sacchetti di plastica, ananas, papaie,
manioca pestata e venduta a tazze. Tutto mi colpisce e si imprime nella
memoria. Capanne di paglia con i panni stesi ad asciugare sui tetti, corsi
d’acqua placida e trasparentissima dove i bambini fanno il bagno schizzandosi e
ridendo. Donne di tutte le età, dalle bambine di 2-3 anni alle nonne di 60 con
carichi sulla testa, ognuno commisurato all’età e forza del portatore. Pagne
coloratissime usate come abito, come porta-bebé, come protezione per i carichi
sulla testa. Polli, caprette che attraversano impazzite la strada, maiali,
tantissimi maialini che mi ricordano la mia Emilia, a bagno nelle pozze d’acqua
lasciate sulla pista dalle ultime piogge. Le celebri bici-taxi di cui tanto ho
sentito parlare in Kivu e che finalmente
vedo qui in pieno servizio, affascinata dai conducenti che continuano a sfidare
la forza di gravità, trasportando carichi di quintali su piste in pendenza,
senza mai perdere il sorriso. Si trasporta di tutto, taniche d’acqua e d’olio,
carichi di manioca, caschi di platani, bambini, frutta..ho visto trasportare
perfino un maiale, legato per i piedi e compostamente al suo posto. Pannelli solari, piccolini ma numerosi, messi
a ricaricare al sole accanto alle case. Una luce dalle sfumature meravigliose che illumina
tutto, un riverbero abbagliante che si fa via via piu dolce al passare delle ore;
verso le 4- 5 del pomeriggio comincia a sentirsi, piu e prima ancora di
vedersi, una luce diversa, piu dolce, piu soffusa. Non è solo la luce a
cambiare. Lungo le lunghe ore di viaggio è la vita delle persone che ti scorre
davanti, con i lori ritmi, i loro riti. Cortei funebri scanditi dai pianti
acuti delle donne. La frenesia del mercato del sabato, quando vedi le persone
uscire dalla foresta, a gruppetti, tutte insieme in marcia nella stessa
direzione; quando capita un dislivello e puoi vedere la strada davanti a te, in
salita o in discesa, colpisce il pupullare delle persone in marcia, una festa
di colori e di pagne diverse. La calma della domenica o delle ore piu calde
della giornata, dove tutti spariscono e la foresta sembra diventare il paese
della bella Addormentata nel Bosco, con le sedie di legno che restano vuote
davanti alle soglie di casa. E poi il pomeriggio che avanza e la gente ricompare,
di nuovo in marcia per rientrare a casa.
E vedi fuochi intorno alle case,
famigie riunite insieme, odore di mais bollito nell’aria. Odore della sera,
della giornata che finisce.
Che cos’è la povertà? me lo
chiedo mentre passo di fianco a questo microcosmo, in cui tutto sembra avere la
sua ragione d’essere e contribuire al suo perfetto funzionamento. Forse scarsità
di mezzi tecnici, ma anche qui quello che vedo fa sorgere dei dubbi, dove l’ingegno
e la laboriosità delle persone danno delle magnifiche prove di applicazione e
riescono a contribuire a quasi tutti i bisogni. Non il superfluo, quello no,
per quello non c’è spazio. Come non c’è spazio per la comodità, per la
facilità: facilità di accesso ai servizi, alle città, facilità nell’accendere
un fuoco, cucinare, lavarsi, arrivare ad un centro medico. Ma quello che vedo mi
interroga e mi pone delle domande. Soprattutto di fronte al sorriso con cui
sono accolta ovunque, alle lezioni di generosita e di dono gratuito che ho
ricevuto a piu riprese durante questi giorni di viaggio da persone che avevano
un decimo dei miei beni ma che erano sempre pronti a condividere un frutto, un
goccio d’acqua, un po’ di olio per far ripartire la macchina, nella convinzione
che qui, dove si fa fatica a conservare le cose, dove una pioggia rischia di
farti marcire il raccolto, dove la mancanza di corrente non ti permette di
conservare la frutta per piu di due giorni, non ha alcun senso tenere tutto per
sè, accumulare, e meglio vale condividere con gli altri, sapendo che quel dono,
quella gratuità sarà poi ricambiata e sarà quella che ti farà sopravvivere e
che darà senso alla vita. Viaggio alla fine del mondo, viaggio alla scoperta di
una delle sue mille frontiere. Viaggio alla scoperta di me stessa.