Uno dei progetti di cui mi “occupo” qui in
Madagacar è un progetto di aiuto alimentare fornito a diversi centri scolastici
ed educativi (attraverso il sostegno alle mense scolastiche). In collaborazione
con molti di questi centri si è aperto anche un progetto di alfabetizzazione e
di lotta all’abbandono scolastico. Una
parte del lavoro, quella che riguarda scartoffie e contatti si svolge
chiaramente in ufficio. Ma c’è una bella fetta di lavoro, che è quella che
preferisco, che invece si svolge “sul campo”. È quella parte di lavoro che mi porta a
partire alla scoperta degli angoli nascosti di Tana con le mie colleghe malgasce
per andare a visitare a sopresa i vari centri, per verificare se i viveri
arrivano, se vengono ben gestiti e soprattutto ben distribuiti, se le attività
scolastiche dichiarate vengono realizzate. Già solo in queste prime settimane
mi è capitato di vedere di tutto, e non sempre in senso positivo. Spesso le
attività scolastiche dichiarate non vengono messe in piedi, lo stockaggio dei
viveri non rispetta le norme sanitarie minime (per imperizia o per mancanza
degli strumenti necessari), e i viveri non vengono distribuiti come dovrebbero
o nelle giuste quantità. Spesso mi sono ritrovata a visitare certi centri con
certi locali annessi e domandarmi come sia possibile chiamarli “scuole”.
La situazione scolastica in Madagascar è
disastrosa. Un tasso di abbandono scolastico atissimo, soprattutto dopo la
crisi del 2009 che ha spinto molti bambini (o le loro famiglie)a lasciare la
scuola per cercare un lavoro. Molti ragazzini si ritrovano adesso semi alfabeti
ma avendo già superato l’età per avere accesso alla scuola pubbblica primaria e
sono quindi destinati a rimanere senza educazione per tutta la vita, e senza prospettive
di migioramento. Sono nate molte scuole non statali che prendono in carico
questi ragazzi, con corsi appositi pensati per preparli agli esami di stato o
per dare loro una formazione professionale, ma c’è un bisogno costante di
finanziamenti che non sempre si trovano. Ad aggravare la situazione ci si mette
spesso l’inutile competizione che si scatena tra il sistema pubblico, geloso di
finanziamenti e tassi di successo degli alunni, e quello parastatale. In tutto
questo, lo stesso sistema pubblico è ormai paralizzato dalla protesta degli
insegnanti che scioperano da mesi per il mancato pagamento degli stipendi. A
fare le spese di tutto questo sono i bambini.
Quello che io vedo e sento girando per la città è
solo una minima parte di una realtà più vasta e complessa. Eppure in un quadro
che a volte mi fa davvero cadere le braccia c’è sempre qualcosa che riesce a
stupirmi, c’è qualcosa che riesce a farmi sorridere e sperare: come quando vedo
fare lezione anche dove non ci sono aule, semplicemente montando dei tendoni. O
come quando vedo scritti alla lavagna i diversi modi in cui bisogna usare il
sapone per lavarsi e pulirsi. O come quando i responsabili di alcuni centri professionali
mi raccontano dell’apertura del nuovo corso di cucina là dove non c’è una
cucina, orgogliosi del fatto di essere almeno riusciti a montare dei fornelli “a
cielo aperto”. O come quando assisto alle riunioni degli alfabetizzatori che
provano ad organizzarsi e discutere insieme dei loro problemi ( che a volte sono
rappresentati dalla difficoltà di capire e spiegare una divisione..). Forse
sono una grande idealista ma in questo mondo alla rovescia si riesce sempre a
vedere un tentativo di costruire qualcosa là dove non c’è quasi niente. Non ho
risposte, non penso assolutamente che la mia presenza riuscirà a risolavere
tutti i malanni del Madagascar. Ma mi piace pensare di raccontravi un po’ di
quello che vedo.