giovedì 27 dicembre 2012

Natale in carcere



Confesso, quest’anno ho fatto fatica a sentire avvicinarsi il Natale..sarà il clima tropicale, sarà il sole che splende e batte durante il giorno facendo sudare anche una freddolosa come me e che mi fa pensare ai lugli padani più che a dicembre, sarà l’umidità mostruosa che sale verso sera e le piogge torrenziali che l’accompagnano..sarà il lavoro intenso delle ultime settimane e la stanchezza che hanno occupato tutte le mie energie..si non c’è dubbio questo non è il Natale che avevo in mente.

E poi, come ormai il Madagascar mi ha già abituato, capita qualcosa che mi fa cambiare idea e mi scuote, proprio quando ormai non mi aspetto più niente e mi sono rifugiata in un sordo e solitario brontolio.

Il 23 dicembre sono andata in carcere, come quasi tutti le settimane ormai, per un “grande” evento: il pranzo di Natale organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Si tratta ormai di una tradizione qui a Antananarivo, durante la quale nei diversi “quartieri” in cui è diviso il carcere viene organizzata una mattinata di preghiera e festa seguita dalla distribuzione di un pasto caldo: riso (che viene cotto direttamente dentro i quartieri) e loaka (l’accompagnamento di carne e verdura) che invece viene preparato fuori e poi portato dentro. Per me, che festeggio il mio primo Natale in Madagascar, si trattava di una novità assoluta.

La mattina ci siamo ritrovati alle 7 e mezza nel piazzale del carcere per le ultime indicazioni, noi volontari italiani, i volontari malagasci, e “un esercito” di una trentina di suore rappresentanti un buon numero dell’ampio ventaglio di congregazioni presenti qui in Madagascar che tutti gli anni si offrono di dare una mano per la preparazione/distribuzione del pasto. 

In realtà appunto a me non era chiesto di “fare” molto: sono i carcerati che si occupano della cottura del riso una volta portato dentro e sotto la supervisione delle suore, e sono sempre i carcerati che si occupano della preparazione e organizzazione delle celebrazioni, degli spettacoli. Quello che veniva chiesto a me, oltre dare una mano dove ci fosse bisogno, era soprattutto il fatto di stare con la gente, di fare festa insieme ai carcerati.

Una volta divisi i compiti, ho seguito le suore nel quartiere che ci era stato asseganto.  Ed è stato li che ho sentito piano piano il Natale arrivare, anche ques’anno.
Mentre davo una mano a montare l’alberello di Natale che non ne voleva sapere di stare in piedi ma che ogni volta veniva raddrizzato tesdardamente dai carcerati.
Mentre addobbavamo con striscioni e stelle la cappella. Mentre arrivavano da chissà dove tamburi, chitarre, tastiera, microfoni per animare la giornata.
Mentre cantavo con i carcerati, dividendo orgogliosamente con loro microfono e libretto dei canti, durante la liturgia ecumenica che cattolici, protestanti, avventisti hanno organizzato al posto della messa tutti insieme, dividendosi alla pari compiti e spazi .
Mentre molto semplicemente “mi godevo lo spettacolo” organizzato finite le preghiere nell’attesa di un riso che non cuoceva mai, la cappella trasformata in un palcoscenico a scena aperta su cui i carcerati si sono esibiti a turno per più di due ore: musicisiti, cantanti, corali delle vari stanze del quartiere con tanto di medaglietta di riconoscimento, ognuno con il suo pezzo e il suo programma ma ognuno generosamente disposto a prestare una strumento, a suonare insieme agli altri..chiarissimo e toccante l’orgoglio e la gioia da parte di tutti i presenti di prendersi quel momento, di farlo proprio in uno scambio e un ruotarsi di strumenti, di voci, di abbracci..
e ho sentito il Natale anche più tardi, alle 2 passate, distribuendo il riso finalmente cotto, con salsiccia e lehisoa(verza) e pure una banana perchè è festa e bisogna festeggiar, augurando “Tratry ny Noely” sotto un sole che sembrava agosto.
Siamo venuti via alle 4 passate, la stessa ora a cui mi sarei alzata da tavola per il pranzo di Natale a casa, pensandoci bene.

Quest’anno per me il Natale è stato questo. Manca sempre un po’ il calore di casa, la testa e il cuore corrono alla cena della vigilia con mamma-papà-fratello-nonni-zii-cugini, manca l’odore e il sapore di certi riti fatti da sempre ma che per me continuano ad avere un senso e un valore.  Ma quest’anno c’è stato un altro calore che ho sentito, un altro senso di casa e di familiarità e di festa, facendo festa
con gente condannata in alcuni casi fino alla morte, avendo il privilegio di assistere  a un assolo di vilia (strumento tradizionali malgascio ), trasportando secchi colmi di salsicce,  ascoltando vecchietti che ci si immaginerebbe in tutt’altro posto che non nel cortile di una prigione, che però sanno ancora cantare a sguarciagola e con gli occhi lucidi “Misaotra Tompoko, misaotra Andriamanitra”(grazie Signore) .

Tutti loro, oltre a farmi sentire le mie fatiche più leggere e sopportabili, mi hanno fatto sentire più vicino e vero l’arrivo del Signore qui su questa terra, ancora una volta, per loro, per me.

Buon Natale e Buon inizio 2013 a tutti