Confesso, quest’anno ho fatto
fatica a sentire avvicinarsi il Natale..sarà il clima tropicale, sarà il sole
che splende e batte durante il giorno facendo sudare anche una freddolosa come
me e che mi fa pensare ai lugli padani più che a dicembre, sarà l’umidità
mostruosa che sale verso sera e le piogge torrenziali che l’accompagnano..sarà
il lavoro intenso delle ultime settimane e la stanchezza che hanno occupato
tutte le mie energie..si non c’è dubbio questo non è il Natale che avevo in
mente.
E poi, come ormai il Madagascar
mi ha già abituato, capita qualcosa che mi fa cambiare idea e mi scuote, proprio
quando ormai non mi aspetto più niente e mi sono rifugiata in un sordo e
solitario brontolio.
Il 23 dicembre sono andata in
carcere, come quasi tutti le settimane ormai, per un “grande” evento: il pranzo
di Natale organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Si tratta ormai di una
tradizione qui a Antananarivo, durante la quale nei diversi “quartieri” in cui
è diviso il carcere viene organizzata una mattinata di preghiera e festa
seguita dalla distribuzione di un pasto caldo: riso (che viene cotto
direttamente dentro i quartieri) e loaka (l’accompagnamento di carne e verdura)
che invece viene preparato fuori e poi portato dentro. Per me, che festeggio il
mio primo Natale in Madagascar, si trattava di una novità assoluta.
La mattina ci siamo ritrovati
alle 7 e mezza nel piazzale del carcere per le ultime indicazioni, noi
volontari italiani, i volontari malagasci, e “un esercito” di una trentina di suore
rappresentanti un buon numero dell’ampio ventaglio di congregazioni presenti
qui in Madagascar che tutti gli anni si offrono di dare una mano per la preparazione/distribuzione
del pasto.
In realtà appunto a me non era
chiesto di “fare” molto: sono i carcerati che si occupano della cottura del
riso una volta portato dentro e sotto la supervisione delle suore, e sono
sempre i carcerati che si occupano della preparazione e organizzazione delle
celebrazioni, degli spettacoli. Quello che veniva chiesto a me, oltre dare una
mano dove ci fosse bisogno, era soprattutto il fatto di stare con la gente, di
fare festa insieme ai carcerati.
Una volta divisi i compiti, ho seguito le suore
nel quartiere che ci era stato asseganto.
Ed è stato li che ho sentito piano piano il Natale arrivare, anche
ques’anno.
Mentre davo una mano a montare l’alberello di
Natale che non ne voleva sapere di stare in piedi ma che ogni volta veniva
raddrizzato tesdardamente dai carcerati.
Mentre addobbavamo con striscioni e stelle la
cappella. Mentre arrivavano da chissà dove tamburi, chitarre, tastiera,
microfoni per animare la giornata.
Mentre cantavo con i carcerati, dividendo
orgogliosamente con loro microfono e libretto dei canti, durante la liturgia
ecumenica che cattolici, protestanti, avventisti hanno organizzato al posto
della messa tutti insieme, dividendosi alla pari compiti e spazi .
Mentre molto semplicemente “mi godevo lo
spettacolo” organizzato finite le preghiere nell’attesa di un riso che non
cuoceva mai, la cappella trasformata in un palcoscenico a scena aperta su cui i
carcerati si sono esibiti a turno per più di due ore: musicisiti, cantanti,
corali delle vari stanze del quartiere con tanto di medaglietta di riconoscimento,
ognuno con il suo pezzo e il suo programma ma ognuno generosamente disposto a
prestare una strumento, a suonare insieme agli altri..chiarissimo e toccante
l’orgoglio e la gioia da parte di tutti i presenti di prendersi quel momento,
di farlo proprio in uno scambio e un ruotarsi di strumenti, di voci, di
abbracci..
e ho sentito il Natale anche più tardi, alle 2
passate, distribuendo il riso finalmente cotto, con salsiccia e lehisoa(verza)
e pure una banana perchè è festa e bisogna festeggiar, augurando “Tratry ny
Noely” sotto un sole che sembrava agosto.
Siamo venuti via alle 4 passate, la stessa ora a
cui mi sarei alzata da tavola per il pranzo di Natale a casa, pensandoci bene.
Quest’anno per me il Natale è stato questo. Manca
sempre un po’ il calore di casa, la testa e il cuore corrono alla cena della
vigilia con mamma-papà-fratello-nonni-zii-cugini, manca l’odore e il sapore di
certi riti fatti da sempre ma che per me continuano ad avere un senso e un
valore. Ma quest’anno c’è stato un altro
calore che ho sentito, un altro senso di casa e di familiarità e di festa, facendo
festa
con gente condannata in alcuni casi fino alla
morte, avendo il privilegio di assistere
a un assolo di vilia (strumento tradizionali malgascio ), trasportando
secchi colmi di salsicce, ascoltando
vecchietti che ci si immaginerebbe in tutt’altro posto che non nel cortile di
una prigione, che però sanno ancora cantare a sguarciagola e con gli occhi
lucidi “Misaotra Tompoko, misaotra Andriamanitra”(grazie Signore) .
Tutti loro, oltre a farmi sentire le mie fatiche più
leggere e sopportabili, mi hanno fatto sentire più vicino e vero l’arrivo del
Signore qui su questa terra, ancora una volta, per loro, per me.
Buon Natale e Buon inizio 2013 a tutti
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RispondiEliminaScrivi davvero in un modo incredibile...
RispondiEliminaNon mi conosci e probabilmente non ci conosceremo mai, ma in qualche modo vedo nelle tue righe un pò dei miei pensieri.
Come un luogo che hai visitato da bambino e in cui, ritornando dopo anni, ricevi un senso di piacevole vertigine. Mi piacerebbe quindi, semplicemente scriverti ogni tanto, senza nemmeno presentarci per non cadere nel banale, come una specie di odioso sito di incontri (quel che di te traspare dalle tue parole deve odiarli, come me), perchè sento di poter parlare solo con te di qualcosa, africa a parte (prova a scrivere "tandonaka" su google).
Non che abbia da dire cose molto interessanti...una specie di esperimento insomma. Sono quasi certo che non mi risponderai, anche se sicuramente hai capito quello che intendo.
Se dovessi sbagliarmi puoi scrivermi all'indirizzo dell'account google.
In caso contrario, pazienza, sarò comunque contento di aver avuto un pezzetto della tua esperienza, per puro, purissimo caso...
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