venerdì 6 settembre 2013

KAZI NZURI



Eccomi qui, secondo giorno a Bagamoyo, Tanzania.
É cosi strano. Ci sono momenti in cui mi sembra di sentire un non so che di familiare, di quotidianità, di colori e suoni già visti. Altri in cui mi ricordo dove sono, e quanto è distante casa.
Stamattina sono andata al mercato. Prima volta. I miei battesimi africani sembrano passare sempre da qui, deve essere un luogo dal significato metafisico. Ci sono andata con la cuoca dell’ufficio. Lei non parla una parola di inglese, io ne so a mala pena due di swahili. Una coppia perfetta. Sono partita con una lista della spesa tradotta in swahili dalla mia coinquilina-responsabile-country representative. Ad ogni banco mostravo la lista alla mia fida accompagnatrice, lei chiedeva e mercanteggiava, poi mi scriveva i prezzi sul foglio – cosi riesco a imparare più o meno il valore delle cose – e poi pagavo. 
Pomodori, cetrioli, carote, arance, latte e yogurt che qui vendono in sacchetti di plastica come quelli delle mozzarelle. Ecco la spesa. Ho passato due ore cosi. Ascoltare, guardare, senza capire nulla o quasi, seguirla nell’intricato garbuglio delle stradine di Bagamoyo. Stradine di sabbia, polvere che la gente spazza agli angoli delle porte, polvere che ti entra negli occhi in questo periodo di vento, strade che sanno di spezie e di carbone bruciato. E botteghe da cui esce la musica, e macellerie dove i pezzi di carne stanno appesi ai chiodi nei muri di piastrelle celesti. Immagini e sensazioni che mi riportano al Madagascar. 
E nello stesso tempo qualcosa di sempre nuovo, di sempre diverso, che mi àncora stretta a questo presente e mi stupisce e un po’ mi spaventa. E mi lascia addosso un po’ di quella paura ansiosa ed eccitata che si prova sempre davanti a quello che non si conosce. C’è odore di salsedine nell’aria. Forse è solo una mia suggestione, ma sento la vicinanza dal mare qui. Un caldo umido che non ho mai sentito a Tana. E poi la donne velate che ondeggiano per le strade, bellissime nei loro veli multicolori che incorniciano i visi e proteggono dalla polvere. E poi i piki piki, le moto taxi che vedo qui per la prima volta. Per tornare in ufficio ne abbiamo presa una. In tre su una moto. Io aggrappata all’autista con i sacchetti della spesa. La cuoca aggrappata a me con i suoi sacchetti. 
I viaggi mi portano sempre a pensare. Anche quelli scomodi e brevi come questo. Mentre rischiavo di perdere pomodori dalle buste di plastica nera. Pensavo ai mesi che mi aspettano. Se saprò vivere appieno questo tempo e queste opportunità, se sarò all’altezza delle persone intorno a me, se sarò all'altezza dei miei stessi sogni.
Una delle poche espressioni che ho imparato (e che ricordo) ieri insegnatami da un collega è “Kazi nzuri”=“buon lavoro”. Tralasciando le strutture grammaticali dello swahili che mi sono ancora del tutto oscure, vorrei che non restasse solo un’affermazione, ma un augurio e uno sprone che mi auto-faccio per accompagnare questi mesi.

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