Eccomi qui, secondo giorno a Bagamoyo, Tanzania.
É cosi strano. Ci sono momenti in cui mi sembra di sentire
un non so che di familiare, di quotidianità, di colori e suoni già visti. Altri
in cui mi ricordo dove sono, e quanto è distante casa.
Stamattina sono andata al mercato. Prima volta. I miei
battesimi africani sembrano passare sempre da qui, deve essere un luogo dal
significato metafisico. Ci sono andata con la cuoca dell’ufficio. Lei non parla
una parola di inglese, io ne so a mala pena due di swahili. Una coppia
perfetta. Sono partita con una lista della spesa tradotta in swahili dalla mia
coinquilina-responsabile-country representative. Ad ogni banco mostravo la
lista alla mia fida accompagnatrice, lei chiedeva e mercanteggiava, poi mi
scriveva i prezzi sul foglio – cosi riesco a imparare più o meno il valore
delle cose – e poi pagavo.
Pomodori, cetrioli, carote, arance, latte e yogurt
che qui vendono in sacchetti di plastica come quelli delle mozzarelle. Ecco la
spesa. Ho passato due ore cosi. Ascoltare, guardare, senza capire nulla o
quasi, seguirla nell’intricato garbuglio delle stradine di Bagamoyo. Stradine di
sabbia, polvere che la gente spazza agli angoli delle porte, polvere che ti
entra negli occhi in questo periodo di vento, strade che sanno di spezie e di
carbone bruciato. E botteghe da cui esce la musica, e macellerie dove i pezzi
di carne stanno appesi ai chiodi nei muri di piastrelle celesti. Immagini e
sensazioni che mi riportano al Madagascar.
E nello stesso tempo qualcosa di
sempre nuovo, di sempre diverso, che mi àncora stretta a questo presente e mi
stupisce e un po’ mi spaventa. E mi lascia addosso un po’ di quella paura ansiosa ed eccitata che
si prova sempre davanti a quello che non si conosce. C’è odore di salsedine
nell’aria. Forse è solo una mia suggestione, ma sento la vicinanza dal mare qui.
Un caldo umido che non ho mai sentito a Tana. E poi la donne velate che
ondeggiano per le strade, bellissime nei loro veli multicolori che incorniciano
i visi e proteggono dalla polvere. E poi i piki piki, le moto taxi che vedo qui
per la prima volta. Per tornare in ufficio ne abbiamo presa una. In tre su una
moto. Io aggrappata all’autista con i sacchetti della spesa. La cuoca
aggrappata a me con i suoi sacchetti.
I viaggi mi portano sempre a pensare. Anche
quelli scomodi e brevi come questo. Mentre rischiavo di perdere pomodori dalle
buste di plastica nera. Pensavo ai mesi che mi aspettano. Se saprò vivere appieno questo tempo e queste
opportunità, se sarò all’altezza
delle persone intorno a me, se sarò all'altezza dei miei stessi sogni.
Una delle poche espressioni
che ho imparato (e che ricordo) ieri insegnatami da un collega è “Kazi nzuri”=“buon
lavoro”. Tralasciando le strutture grammaticali dello swahili che mi sono ancora del tutto oscure, vorrei che non restasse solo un’affermazione, ma un augurio e uno sprone che mi auto-faccio per accompagnare questi mesi.
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