mercoledì 11 aprile 2012

Venerdi Santo e affini


8 aprile

Settimana santa. Espressione che rende abbastanza bene i miei ultimi giorni qui. Ho assistito a tutti i riti che la liturgia cristiana prevede per questa settimana, paradossalmente più di quanto abbia mai fatto in Italia dove, tra sessione d’esami straordianaria e traversate in treno-aereo-macchina mi ritrovavo ad essere a casa a momenti solo la sera prima di Pasqua. Convinzione personale certo, ma anche perchè se sono qui è per vivere con questa comunità, per quello che è possibile, con i suoi rtimi, la sua socialità. Ed è vero che qui la dimensione della parteciazione popolare alla messa è qualcosa che in Italia abbiamo scordato da decenni. La partecipazione stessa acquista una valenza sociale che da noi non dà neanche l’aperitivo nel bar più chic della città. E mi sembrava giusto provare ad esserci anch’io in tutto questo, superando l’imbarazzo di entrare in chiesa accompagata da mille occhi puntati addosso o le barriere linguistiche.
Confesso, non è stato tutto cosi facile come avrei pensato, non tutto cosi bello. Qualcosa oltre lo stereotipo esotico che a volte aleggia intorno all’idea di messa africana. Ho fatto fatica. Ho fatto fatca a reggere a celebrazioni di 4 ore, a sentire canti che possono durare 25 minuti l’uno (non è uno scherzo ) e che sono sempre accompaganti da immancabili tastiere che inseriscono obbligatoriamente basi stile disco music o mazurche emiliane, (considerate credo il meglio della tecnologia e della raffinatezza qui in Madagascar). Ho fatto fatica ad accettare rituali che secondo la liturgia italiana post concilio non hanno più valore, baci della croce, saluti lunghissimi, interminabili prediche intervallate da battute che non posso ancora capire e forse non capirò mai, 2-3-4 raccolte di offerte per la parrocchia-il prete-i chirichetti-l’associazione delle mamme.. Ho sentito la mancanza del silenzio occidentale, della riflessione, di un momento di raccoglimento personale e solitario. Ho sentito la mancanza forse delle atmosfere da venerdi santo di gucciniana memoria. Ho fatto fatica a trovare un senso in tutto questo. Ho fatto fatica a non perdere le mie convinzioni personali. Venerdi santo stavo per mollare e uscire dalla chiesa, lo confesso. Mi sentivo davvero fuori posto. Poi la notte di Pasqua sono tornata. E c’è stato un momento in cui mi sono commmossa. È stato durante il momento della pace, che qui in Madagascar viene fatto prendendosi tutti per mano e cantando e danzando con le mani unite e sollevate.  E anche i malgasci che mi guardano con diffidenza sono “costretti” a prendermi la mano. Io ho stretto forte la mano dei miei vicini e ho cercato di far sentire il mio essere qui. Forse è solo suggestione, ma in quel momento anche lo scetticismo è stato messo da parte. E sono passati in secondo piano anche le tastiere, le basi musicali anni 80. E nonostante la nostalgia di casa, che si fa più forte in questi momenti di festa, mi sono sentita a casa anche qui.
Una casa chiassosa, incoerente, che ride e canta pur non avendo niente, che non riesce a farsi le mie paranoie sul futuro e sul senso della vita perchè il presente è già troppo buio, una casa che continua a scuotermi e rivoltarmi come un calzino.
Buona Pasqua a tutti

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