8 aprile
Settimana santa. Espressione che rende abbastanza
bene i miei ultimi giorni qui. Ho assistito a tutti i riti che la liturgia
cristiana prevede per questa settimana, paradossalmente più di quanto abbia mai
fatto in Italia dove, tra sessione d’esami straordianaria e traversate in
treno-aereo-macchina mi ritrovavo ad essere a casa a momenti solo la sera prima
di Pasqua. Convinzione personale certo, ma anche perchè se sono qui è per
vivere con questa comunità, per quello che è possibile, con i suoi rtimi, la sua
socialità. Ed è vero che qui la dimensione della parteciazione popolare alla
messa è qualcosa che in Italia abbiamo scordato da decenni. La partecipazione stessa
acquista una valenza sociale che da noi non dà neanche l’aperitivo nel bar più
chic della città. E mi sembrava giusto provare ad esserci anch’io in tutto
questo, superando l’imbarazzo di entrare in chiesa accompagata da mille occhi
puntati addosso o le barriere linguistiche.
Confesso, non è stato tutto cosi facile come avrei
pensato, non tutto cosi bello. Qualcosa oltre lo stereotipo esotico che a volte
aleggia intorno all’idea di messa africana. Ho fatto fatica. Ho fatto fatca a
reggere a celebrazioni di 4 ore, a sentire canti che possono durare 25 minuti
l’uno (non è uno scherzo ) e che sono sempre accompaganti da immancabili
tastiere che inseriscono obbligatoriamente basi stile disco music o mazurche
emiliane, (considerate credo il meglio della tecnologia e della raffinatezza
qui in Madagascar). Ho fatto fatica ad accettare rituali che secondo la
liturgia italiana post concilio non hanno più valore, baci della croce, saluti
lunghissimi, interminabili prediche intervallate da battute che non posso ancora
capire e forse non capirò mai, 2-3-4 raccolte di offerte per la parrocchia-il
prete-i chirichetti-l’associazione delle mamme.. Ho sentito la mancanza del
silenzio occidentale, della riflessione, di un momento di raccoglimento
personale e solitario. Ho sentito la mancanza forse delle atmosfere da venerdi
santo di gucciniana memoria. Ho fatto fatica a trovare un senso in tutto
questo. Ho fatto fatica a non perdere le mie convinzioni personali. Venerdi
santo stavo per mollare e uscire dalla chiesa, lo confesso. Mi sentivo davvero
fuori posto. Poi la notte di Pasqua sono tornata. E c’è stato un momento in cui
mi sono commmossa. È stato durante il momento della pace, che qui in Madagascar
viene fatto prendendosi tutti per mano e cantando e danzando con le mani unite
e sollevate. E anche i malgasci che mi
guardano con diffidenza sono “costretti” a prendermi la mano. Io ho stretto
forte la mano dei miei vicini e ho cercato di far sentire il mio essere qui. Forse
è solo suggestione, ma in quel momento anche lo scetticismo è stato messo da
parte. E sono passati in secondo piano anche le tastiere, le basi musicali anni
80. E nonostante la nostalgia di casa, che si fa più forte in questi momenti di
festa, mi sono sentita a casa anche qui.
Una casa chiassosa, incoerente, che ride e canta
pur non avendo niente, che non riesce a farsi le mie paranoie sul futuro e sul
senso della vita perchè il presente è già troppo buio, una casa che continua a
scuotermi e rivoltarmi come un calzino.
Buona Pasqua a tutti
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