Ogni paese, ogni città ha il suo mezzo di trasporto per
eccellenza. La macchina, la metro, che in Francia cambia misteriosamente sesso,
il taxi, la bicicletta, la gondola. Per il Madagascar è il taxi be. Furgoncini
sul modello del Ducato o appena più grandi che vengono accessoriati con due
incredibili file di poltroncine e scarrozzano in giro per il paese persone,
galline, biciclette, pacchi. Ci sono taxi urbani per muoversi in città, ma
anche quelli “extra urbani” (i famosi taxi brousse) che collegano con epiche
traversate una parte all’altra del paese. Naturalmente ce ne sono di ogni
colore, blu, rossi, gialli, bianchi. Il tratto comune è la quantità incredibile
di passeggeri che riescono a caricare: oltre all’indicibile incastro dei
seggiolini, tra le due file vengono all’occorenza inserite assi di legno per
aumentare i posti disponibili, per non dimenticare la gente che resta appesa
dentro solo per metà. Si entra dal portellone posteriore, quasi in corsa, su
“accettazione” di una sorta di controllore che decide se lo spazio vitale è
sufficiente o no. Una volta a bordo, durante il viaggio viene richiesto il
prezzo del biglietto. Non mi capacito ancora del come ma tutto si regge su un
sistema efficientissimo: il famoso controllore dell”ingresso dal retro” ad un
certo momento comincia a chiedere il prezzo della corsa, 300 ariary. Da ogni
parte del taxi cominciano ad arrivare soldi che vengono spinti verso il fondo
del mezzo grazie ad un collaborativo passa mano. Non si capisce bene da dove
vengano i soldi e quanti biglietti servano a coprire. La gente spesso ha pezzi
più grossi e paga per 2, 3, 4 altri passeggeri indicandoli a dito. Con mio
sommo stupore tutti pagano e tutti ricevono ancora più straordinariamente il
proprio resto, sempre attraverso il passa mano. Sabato sono andata in taxi be
per raggiungere il mercato di Analakely. Un viaggio incredibile. Tutti stipati
come maialini, le ginocchia che si toccano, davanti, dientro, di fianco. La
musica della radio a tutto volume e tutti i passeggeri che cantano. I taxi be
sfrecciano per le strade di Tana schivando pedoni, biciclette, carretti, buoi,
altri taxi be rivali. Confesso. Subito ero abbastanza rigida, no rigidissima,
il contatto umano ravvicinato mi dava fastidio e strideva con le convenzioni sociali a cui sono abituata. Mi
chiedevo se sarei mai arrivata a destinazione. Credo di avere chiuso gli occhi
in una o due occasioni. Piano piano mi sono lasciata andare, ho smesso anche di
accorgermi che la gente mi sfiorava, no mi urtava anche senza troppo riguardo.
Mi sono “goduta il viaggio”. Al ritorno,
durante il viaggio verso casa per radio hanno passato Bed of roses di Bon Jovi.
L’ho cantata tutta.
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